Si sente sempre più parlare di libertà, purtroppo spesso a sproposito, soprattutto quando viene contrapposta alle regole. Non dimentichiamo che si tratta di concetti che non si contraddicono e che la convivenza come società dà il suo meglio in presenza di entrambe
Negli ultimi mesi, soprattutto in concomitanza con l’introduzione della Certificazione Verde (detta “Green Pass”) e del suo progressivo utilizzo nella vita quotidiana delle persone, si è molto dibattuto sul significato delle regole di convivenza sociale e di quanto sia importante rispettarle anche quando non è facile farlo, pur rendendosi conto della loro necessità per permettere a ciascuno di noi di vivere in un contesto di normalità. I “no vax” ideologici sembrano faticare a comprendere il significato di questa forma di reciprocità relazionale, fondamentale in ogni forma di interazione sociale, sia essa affettiva o di comunità. E tale forma di reciprocità si basa, perlappunto, sul rispetto di regole assunte non tanto per il bene individuale in senso stretto, ma per quello del gruppo, anche quando questo significa mediare con le esigenze personali.
Errore o infrazione?
Ma come apprendiamo le regole e il loro significato? Di solito avviene in due modi: attraverso il modellamento e il condizionamento operante. In altri termini: impariamo che un certo comportamento è giusto e che va messo in atto in determinate situazioni perché osserviamo altre persone agire in quel modo e perché osserviamo l’inevitabilità delle conseguenze “punitive” qualora esso venga disatteso. Negli ultimi vent’anni legioni di pedagoghi e di sociologi inconsapevoli dei principi basilari della psicologia umana hanno riempito pagine di trattati sostenendo la crudeltà della punizione e l’importanza del dialogo, della mediazione, del relativismo – morale e non – delle azioni umane. Intendiamoci: la comunicazione è importante, soprattutto nelle relazioni educative, siano esse scolastiche o familiari. Ma saper dialogare non significa, non può significare, lasciar perdere il ruolo di guida, di modello, di referente comportamentale. Alcune regole non possono essere oggetto di mediazione. Non possono essere discusse. Esistono per permettere il rispetto dei ruoli, la convivenza civile tra le persone, la stessa dignità umana. E, se non vengono rispettate, non si possono fare distinguo, cercare spiegazioni, scuse; è fondamentale che segua una punizione, nel minor tempo possibile. Ricordiamo: non puniamo errori, puniamo deviazioni dalle regole. Urlare contro un ragazzino per un errore grammaticale commesso non solo è inutile, ma è anche dannoso e controproducente; su questo siamo d’accordo. Ma accettare che risponda male ai compagni, che non rispetti il ruolo e l’autorità dell’insegnante per una folle e mal riposta idea di libertà di espressione e di esaltazione del comportamento libero che non accetti restrizioni, è altrettanto rischioso.
Punire per comprendere
È importante che i ragazzi, sin dalla più tenera età, imparino che le regole di convivenza civile sono l’architrave non solo – e non tanto – delle relazioni con gli altri, ma soprattutto, della relazione con sé stessi. Rispettare le regole non può essere una scelta, è un dovere, senza il quale nessuna delle nostre azioni ha significato. Spesso la punizione è fondamentale per apprendere le regole: essa limita, differenziando i comportamenti inadeguati da quelli adeguati. Ma perché sia efficace deve essere erogata sempre, senza eccezioni, nel più breve tempo possibile dalla messa in atto del comportamento indesiderato. Se un bambino mette la mano su un oggetto che fuma, si scotterà, ricavandone dunque una punizione e se dovesse riprovarci la conseguenza sarebbe la medesima, ogni volta che cadesse nell’errore. La regola “non si toccano gli oggetti che fumano” a quel punto sarà impressa a fondo nella sua mente. Senza la costruzione e il rispetto delle regole non vi può essere alcun contesto sociale nel quale poter apprendere comportamenti virtuosi e innovativi.